DOMENICA 28 MAGGIO ROMA – CAPPELLA ORSINI Giuliana Conforto invita al seminario in presenza …
Continua »Il metodo: divide et impera
Non amo parlare di me e del caso che ha cambiato la mia vita, 25 anni fa. Lo faccio perché il caso subisce oggi una nuova risonanza e si arricchisce di illazioni che lo ripropongono sotto una nuova luce. Dopo venti anni, è giunto in Italia il Dossier Mitrokhin, un documento poco credibile, secondo il giudizio di vari governi, che invece qui diviene oggetto di un'inchiesta parlamentare. "Non è archeologia spionistica, c'è Moro nel dossier Mitrokhin..." riporta un testo dell'agenzia ANSA del 22 ottobre 2004. Il mio caso è infatti legato a quest'ultimo e citato come perno per dimostrare l'attualità del Dossier. E' successo nel '79. Ero da poco separata dal mio primo marito ed abitavo con le mie due bambine, allora di 11 e 4 anni, in una casa luminosa e grande, passata poi alla storia come il "covo di Viale Giulio Cesare". Ignara della loro vera identità e del contenuto dei loro bagagli ho ospitato Morucci e Faranda, brigatisti legati al sequestro di Aldo Moro, avvenuto l'anno prima, nel '78. Avevo all'epoca un incarico docente all'Università di Calabria e quindi mi alternavo tra i miei impegni didattici, a Cosenza, e quelli familiari, a Roma. Quando ero a Cosenza, le mie bambine si trasferivano in casa dei miei genitori, nonni premurosi e molto affezionati alle nipotine.
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